sabato 18 maggio 2013

Henri Bergson


Nasce a Parigi nel 1859.

Tempo, durata e libertà

Una delle teorie più originali di Bergson è la distinzione fra tempo della scienza e tempo della vita.
Il tempo della scienza è quantitativo, omogeneo ed reversibile, poiché un esperimento può essere ripetuto ed osservato un numero indefinito di volte, ed è discontinuo: questo significa che è un tempo astratto, esteriore e spazializzato. Ha come simbolo la collana di perle.
Il tempo della vita, invece, è qualitativo, eterogeneo ed irreversibile, in quanto ogni momento della psiche è irripetibile, ed è continuo: è quindi un tempo concreto, interiore che si identifica con la durata reale. Ha come simbolo il gomitolo o la valanga.

Spirito e corpo: materia e memoria

In Materia e Memoria, Bergson studia i rapporti tra spirito e corpo, distinguendo memoria, ricordo e percezione.
La memoria pura è la coscienza stessa, che registra automaticamente tutto ciò che accade, e si identifica con il nostro passato.
Il ricordo è la materializzazione, operata dal cervello, di un evento del passato. Il cervello trasforma in ricordi solo ciò che serve all’azione, mantenendo nell’inconscio la massima parte del passato.
La percezione, infine, agisce come un filtro selettivo dei dati, secondo le esigenze dell’azione.

Lo slancio vitale

E' la coscienza stessa, intesa come durata reale, cioè come una sorta di grande corrente che penetra nella materia e tende a dominarla, progredendo soprattutto nelle due direzioni fondamentali dell’istinto e dell’intelligenza.
Lo slancio della vita è la causa principale delle variazioni che si addizionano per creare nuove specie. Il meccanicismo non può spiegare la formazione di organi complicatissimi.
Lo slancio vitale si divide , dando origine alla divisione tra vegetali e animali. Il vegetale è caratterizzato dalla capacità  di fabbricare le sostanze organiche con sostanze minerali; gli animali, obbligati ad andare a cercare il loro nutrimento, si sono evoluti nel senso dell’attività  locomotrice e quindi di una coscienza sempre più sveglia.

Istinto, intelligenza e intuizione

Istinto e intelligenza sono tendenze diverse ma sempre connesse tra loro.
L’intelligenza si può definire come la facoltà  di fabbricare strumenti artificiali e di variarne indefinitamente la fabbricazione; l’istinto, invece, è la facoltà  di utilizzare o costruire strumenti organizzati.
L’intelligenza umana è diretta essenzialmente ai fini della vita, serve a costruire strumenti inorganici, per questo si trova a suo agio solo quando si trova a che fare con la materia inorganica.
L’intuizione, infine, è un istinto divenuto disinteressato, consapevole di se stesso, capace di riflettere sul suo oggetto e di estenderlo definitivamente. In quanto visione dello spirito da parte dello spirito, l’intuizione si configura come l’organo della metafisica.

Società , morale e religione

Bergson fa una distinzione tra società  chiuse e società  aperte.
Le società  chiuse sono quelle statiche, nelle quali l’individuo agisce come parte del tutto, con libertà e iniziativa molto ridotte. Qui domina la morale dell’obbligazione, fondata su abitudini e modi di vita che garantiscono la solidità  del gruppo. La religione delle società  chiuse è statica, e mediante miti e superstizioni cerca di dare all’uomo riparo o salvezza nei confronti dei pericoli della vita.
Le società aperte, invece, sono dinamiche e continuano lo sforzo creativo della vita. Qui domina una morale assoluta,che agisce nell’interesse dell’umanità  intera. La religione tipica di questo tipo di società  è dinamica, basata sul misticismo; attraverso il misticismo l’uomo si inserisce nello slancio creatore della vita, nella stessa creazione divina.

martedì 2 aprile 2013

Karl Marx


Karl Marx fu esponente della sinistra Hegeliana ma ben presto se ne stacco. Egli, infatti, critica, oltre al socialismo utopistico, troppo ideale e poco reale, e gli stessi Hegel e Feuerbach.
Ad Hegel Marx rimprovera una filosofia troppo speculativa che non porta un cambiamento reale del mondo, mentre per Marx la filosofia non deve essere solo teoria ma anche prassi, deve, cioe’ essere utile a cambiare la societa’.
A Feuerbach Marx riconosce il merito di avere individuato nella religione una prima causa dell’alienazione ma gli rimprovera di non avere riconosciuto l’alienazione sociale dell’individuo, cioe’ quella che nasce dalla disuguaglianza sociale. Lo stato per Marx e’ caratterizzato dalla divisione del lavoro e dei mezzi di produzione. Nella storia, che Marx concepisce come lotta di classe, la classe dominante da sempre possiede i mezzi di produzione e opprime i lavoratori, portando quest’ultimo all’alienazione.
Da qui nasce anche la teoria del plus valore, ovvero del valore aggiunto alla merce oltre a quello fornito dall’operaio, che porta all’enorme guadagno del capitalista rispetto all’operaio. L’operaio deve dunque prendere coscienza di questa sua condizione e attuare la rivoluzione comunista con la seguente dittatura del proletariato, che portera’ all’abolizione della proprieta’ privata e messa in comune dei mezzi di produzione. La parte piu’ oscura delle teorie di Marx e quella che riguarda la suddivisone fra struttura e sovrastruttura. La sovrastruttura (religione, morale ecc.) puo’ essere cambiata mentre la struttura No.

Ludwig Feuerbach


Feuerbach fu uno dei maggiori esponenti della sinistra Hegeliana. Nonostante tutto egli critica l’idealismo di Hegel accusandolo di avere ribaltato la visione delle cose nel mondo. Nella teoria di Hegel, infatti, il concreto (l’uomo e il finito) finisce per dipendere dall’astratto (Dio e infinito).
Da qui Feuerbach prende spunto per la sua critica alla religione. Feuerbach afferma infatti che non e’ stato Dio a creare l’uomo ma l’uomo a creare Dio. Dio per Feuerbach non e’ altro che una proiezione e un oggettivazione fantastica delle qualita’ umane.
Tutte le qualita’ che vengono affibbiate a Dio non sono altro che qualita’ proprie dell’uomo. Per Feuerbach l’idea di Dio nell’uomo nasce al dissidio interiore fra volere e potere. L’uomo genera, infatti, Dio per realizzare quei desideri che altrimenti gli sarebbe impossibile raggiungere (Dio e’ l’ottativo del cuore umano). Secondo questa teoria la religione porta l’uomo all’alienazione giacché l’uomo arriva a sottomettersi a se stesso proiettato nella figura di Dio.
Per Feuerbach tutte le religioni sono false ed una prova e’ che ogni religione storicamente ha sempre smentito le precedenti considerandole semplici idolatrie. L’ateismo a questo punto si configura come un vero e’ proprio atto morale ed il compito del filosofo e quello di riporre l’infinito (Dio) all’interno del finito (uomo). Ma quest’ateismo e’ un ateismo positivo in quanto permette all’uomo di riconoscersi. La nuova filosofia delineata da Feuerbach diviene una sorta di filantropia. Feuerbach rifiuta di considerare l’uomo come astratta spiritualita’.
L’uomo per Feuerbach e’ fatto anche di carne e sangue, giacché vive soffre e gioisce. Da qui la teoria degli alimenti ovvero l’uomo e’ cio’ che mangia. Feuerbach sostiene, infatti che prima di migliore le condizioni spirituali di un popolo bisogna migliorare le sue condizioni materiali. Notevole importanza nella filosofia di Feuerbach e rivestita dall’amore. Feuerbach sostiene, infatti, che l’amore e’ la passione fondamentale dell’uomo e che egli per vivere necessita’ degli altri (essenza sociale dell’uomo e comunismo filosofico).

lunedì 21 gennaio 2013

Kierkegaard e il don Giovanni



"Così come la sensualità è intesa in Don Giovanni, come principio, non è mai stata intesa prima al mondo; perciò anche l'erotico è qui determinato con un altro predicato, l'erotico
è qui seduzione. Strano a dirsi, l'idea di un seduttore manca del tutto alla grecità [...]. La ragione per cui la grecità manca di quest'idea sta nel fatto che l'intera sua vita è determi­nata come individualità. Così lo psichico è dominante o sempre in armonia con il sensua­le [...]. Don Giovanni è invece fondamentalmente un seduttore. Il suo amore non è psi­chico ma sensuale, e l'amore sensuale secondo il suo concetto non è fedele, ma assoluta­mente privo di fede, non ama una ma tutte, vale a dire seduce tutte. Esso infatti è soltanto nel momento, ma il momento è concettualmente pensato come la somma dei momenti, e così abbiamo il seduttore. Anche l'amore cavalleresco è psichico, e perciò conforme al suo concetto essenzialmente fedele; solo l'amore sensuale è secondo il suo concetto es­senzialmente privo di fede. Ma questa sua mancanza di fede si mostra anche in un altro modo; infatti esso resta sempre solo una ripetizione. L'amore psichico ha in sé la dialetticità doppiamente. Infatti ha in sé il dubbio e l'inquietudine se sarà anche felice, se vedrà soddisfatto il suo desiderio e sarà amato. L'amore sensuale non ha questa preoccupazio­ne. Persino un Giove è incerto della sua vittoria, e non può essere altrimenti, sì, egli stes­so non può desiderare altrimenti. Non così Don Giovanni, che taglia corto e deve sempre essere immaginato come assolutamente vincitore. Questo potrebbe sembrare un vantag­gio per lui, ma in vero è un motivo d'indigenza. D'altro lato l'amore psichico ha anche un'altra dialettica, infatti è diverso anche in rapporto a ogni singolo individuo che è og­getto dell'amore. Sta qui la sua ricchezza, la sua pienezza di contenuto. Non così Don Giovanni. Infatti egli non ha tempo per una cosa del genere, tutto è per lui soltanto que­stione del momento. «Vederla e amarla è una cosa sola», questo è nel momento, e nello stesso momento tutto è finito, e la stessa cosa si ripeterà all'infinito.
L'amore psichico si muove proprio nella ricca molteplicità della vita individuale, dove so­no le sfumature quelle che veramente importano. L'amore sensuale, invece, può mettere tutto in un fascio. Per esso l'essenziale è la femminilità completamente astratta, e tutt'al più la maggior differenza sensuale. L'amore psichico è sussistenza nel tempo, quello sen­suale sparizione nel tempo, ma il medio che lo esprime è proprio la musica. La musica è adattissima a far questo perché è di gran lunga più astratta del linguaggio, e quindi non dice il singolare ma l'universale in tutta la sua universalità, e tuttavia dice quest'universa­lità non nell'astrazione della riflessione ma nella concrezione dell'immediatezza. [...] So­lo in questo modo Don Giovanni può diventare epico, in quanto costantemente finisca e costantemente possa ricominciare, poiché la sua vita è una somma di momenti che si ur­tano senza nesso alcuno, la sua vita, come il momento, è una somma di momenti, come una somma di momenti è il momento. In quest'universalità, in quest'oscillazione tra esse­re individuo e essere forza della natura, si trova Don Giovanni; appena egli diventa indi­viduo, l'estetico avrà tutt'altre categorie.Se la cosa non andasse così, Don Giovanni ces­serebbe d'essere assolutamente musicale, e l'estetico esigerebbe la parola, la replica; ma dal momento che la cosa sta così, Don Giovanni è assolutamente musicale. [...]
Nel caso di Don Giovanni occorre usare l'espressione «seduttore» con gran cautela, se preme dire qualcosa di giusto piuttosto che una banalità. E ciò non perché Don Giovanni sia troppo buono, ma perché egli non cade affatto sotto determinazioni etiche. Preferirei quindi definirlo un impostore, dal momento che c'è pur sempre qualcosa di molto equi­voco in quest'altra espressione. Per essere seduttore occorre sempre una certa riflessione e una certa coscienza, ed è solo quando queste sono presenti che può essere appropriato parlare di scaltrezza, di mosse e di abili assalti. Questa coscienza manca a Don Giovanni. Egli perciò non seduce. Egli desidera, ed è questo desiderio ad avere un effetto seducen­te, in tal senso egli seduce. Egli gode dell'appagamento del desiderio; appena ne ha go­duto, cerca un nuovo oggetto, e così all'infinito. Egli perciò inganna, certo, ma senza or­ganizzare il suo inganno in precedenza; è la potenza propria della sensualità a ingannare le sedotte, o meglio, è una sorta di nemesi. Egli desidera e continua a desiderare, e gode costantemente dell'appagamento del desiderio. Per essere un seduttore gli manca il pri­ma, in cui elaborare il suo piano, e il poi, in cui rendersi cosciente della propria azione. Un seduttore deve perciò essere in possesso di una potenza che Don Giovanni non ha, pur essendo per altro ben dotato, la potenza della parola. Appena gli diamo la potenza della parola egli cessa d'essere musicale, e l'interesse estetico muta del tutto."
da S. Kierkegaard, Enten-Eller, a c. di A. Cortese, vol. I, Adelphi, Milano 1981.



L'erotismo del Don Giovanni

Tutta la prima parte del testo ha al centro la definizione dell'amore estetico come «sensuale» in contrapposizione all'amore «psi­chico», cioè all'amore in cui è in gioco l'indivi­dualità. Nel mondo greco la sensualità era com­presa nell'armonia della natura, faceva parte del­l'accordo di psiche e senso che costituiva la «bella individualità» greca (solo con il cristiane­simo, ritiene Kierkegaard, la sensualità si è de­terminata spiritualmente, promuovendo la sepa­razione di anima e corpo, spirito e carne).
La novità della sensualità incarnata da Don Gio­vanni sta nel fatto di non essere individualizzata: Don Giovanni non è individuo, categoria che comprende la riflessione, ma idea, pura incarna­zione dell'erotico; così, gli oggetti del suo desi­derio non sono individualità femminili, ma la femminilità come universale.
L'amore psichico conosce il dubbio, le sfumature, l'incertezza: l'amore puramente sensuale del se­duttore non ha di questi problemi, perché l'esteta cerca la pienezza nell'istante. Solo in quanto con­cepisce il tempo come sequela infinita di istanti il seduttore è tale: la sua azione non ha dialettica, non ha sviluppo. La ripetizione si configura per l'esteta come infinito riproporsi dell'identico rap­porto fra il desiderio e la sua soddisfazione.

Il linguaggio musicale e l'estetico

Nella seconda parte del testo Kierkegaard mostra come l'assoluta mancanza di individua­lità di questa concezione della sensualità faccia sì che il suo mezzo espressivo ideale sia la musica, che è universale e immediata. La grandezza del Don Giovanni di Mozart sta, secondo Kierke­gaard, nel fatto che materia e musica si integrano con perfezione classica. L'immediatezza di Don Giovanni, il suo vivere nel momento, ne fanno un soggetto musicale, che non è esprimibile in paro­le: «nel linguaggio si trova la riflessione, e perciò il linguaggio non può esprimere l'immediato».
Il fatto che Don Giovanni, quale figura dell'este­tico, non viva nella dimensione della riflessione, determina anche la sua estraneità a qualsiasi va­lutazione etica (poiché l'etica è sempre risultato di una atto di pensiero). La potenza vitale della sensualità di Don Giovanni si esprime nella di­mensione dell'indifferenza estetica: è carne con­tro spirito, ma non è peccato. Don Giovanni «non cade affatto, sotto determinazioni etiche». Soltanto quando interviene la riflessione la sen­sualità diviene peccato, «ma allora Don Giovan­ni è stato ucciso, allora la musica tace».
 






martedì 11 dicembre 2012

Kierkegaard

La polemica anti-hegeliana

Kierkegaard critica la filosofia hegeliana, in quanto sopprime il singolo individuo a favore della specie. L’individuo è direttamente coinvolto nel proprio destino e nel genere umano il singolo è superiore al genere stesso.
Egli ha anche combattuto tutta una vita contro la pretesa di identificare uomo e Dio, affermando l’infinita differenza tra il finito e l’infinito, cioè tra l’uomo e Dio.

Gli stadi dell’esistenza

Esistono tre gradi dell’esistenza: la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa. Questi gradi non possono essere collegati tra loro, anzi, tra uno e l’altro vi è una grande differenza e la scelta di uno stadio di vita ne esclude di conseguenza un altro.

  1. Vita estetica.
    La vita estetica viene incarnata dal seduttore. L’esteta vive alla ricerca continua di forti emozioni e di tutto ciò che c’è di interessante nella vita, non considerando minimamente tutto ciò che c’è di banale e insignificante nel mondo e escludendo anche la ripetizione che implica sempre monotonia e toglie interesse.
    Ma questa ricerca continua finisce per provocare noia, ansia e disperazione.
  2. La vita etica.
    La vita etica viene incarnata dal marito, il quale vive nella fedeltà , svolgendo il proprio dovere e il proprio lavoro che gli permette di vivere a contatto con altre persone e di vivere tranquillo.
    Il matrimonio è l’espressione tipica dell’eticità . esso è un compito che può essere svolto davvero da tutti; mentre nella vita estetica una coppia di persone eccezionali può essere felice solo in funzione della proprio eccezionalità , nella vita etica il matrimonio può essere felice con qualsiasi coppia di sposi.
    Spesso, però, il marito si pente di qualcosa che ha fatto ed è attraverso il pentimento che la vita etica tende a raggiungere la vita religiosa, ma tra le due non c’è comunque continuità .
  3. La vita religiosa.
    Kierkegaard raffigura la vita religiosa nella persona di Abramo, il quale visse tutta la sua vita seguendo le leggi morali, fino a quando ricevette da Dio l’ordine di uccidere il figlio, Isacco, infrangendo così le leggi secondo le quali ha vissuto fino a quel momento.
    E' per questo motivo che spesso l’affermazione del principio religioso sospende l’azione del principio morale, quindi tra i due principi non c’è possibilità di conciliazione.
    Ma come si fa a capire se si è stati veramente eletti da Dio? E' proprio l’angoscia con la quale l’uomo si pone questa domanda la sola assicurazione possibile.
    La fede quindi è paradosso e scandalo. Cristo stesso è il segno di questo paradosso, soffrendo e morendo come uomo mentre parla e agisce come Dio.
    L’uomo viene così messo davanti a una scelta: credere o non credere. Questo dipende solo in minima parte dall’uomo stesso, perchè è da Dio che deriva tutto, anche la fede.

L’angoscia

Kierkegaard concepisce l’esistenza come possibilità e le conseguenti incertezza e instabilità in cui l’uomo si trova per cause naturali.
L’angoscia è causata dalle numerose possibilità che l’uomo ha, ma a differenza del timore che si riferisce a qualcosa di determinato, l’angoscia non si riferisce a niente di preciso.
L’angoscia è sempre rivolta al futuro; può anche riguardare il passato, ma solo quando potrebbe ripresentarsi come futuro, come ripetizione. Anche una colpa, ad esempio, se è passata può generare pentimento, ma se non è veramente passata potrebbe anche generare angoscia. L’angoscia rende umani; solo chi è pienamente buono o pienamente cattivo non le è soggetto.

Disperazione e fede

L’angoscia è provocata dalla situazione dell’uomo nel mondo; la disperazione, invece, dalla personalità stessa dell’uomo e dal rapporto con se stesso.
Angoscia e disperazione, quindi, sono strettamente legate, ma non identiche.
L’uomo è una sintesi di necessità e libertà . La disperazione nasce dalla mancanza di una o dell’altra, ovvero quando non si ha possibilità di scelta o si hanno troppe possibilità .
Dio nasce dalla mancanza di necessità . Quando non si ha la possibilità di scegliere, il credente si rivolge a Dio, al quale tutto è possibile.
La fede, quindi, è l’eliminazione della disperazione, e la disperazione è il peccato.
La fede, però, porta l’uomo al di là della ragione, quindi è anche assurdità , paradosso e scandalo. Il pensiero religioso è pieno di paradossi: la trascendenza di Dio, il peccato nella sua natura concreta, l’idea di un Dio che si fa carne e muore per noi. Ma nonostante questo, la fede crede e assume tutti i rischi.



Nietzsche

La filosofia di Nietzsche è volta a distruggere quei valori, miti e credenze che venivano elevati a verità assolute nell'epoca del Positivismo. In realtà Nietzsche riteneva che quelle certezze (metafisiche, morali, religiose, ecc) fossero state costruite dall'uomo, e che servissero a questo stesso per poter sopportare il caos della vita. Questi valori, infatti, da lui stesso creati, erano frutto di un'invenzione sorta dalla necessità di sopravvivenza in un mondo mosso dal disordine. Da ciò egli arrivava a definire quella che finora era stata considerata una verità assoluta, come una verità menzognera, una falsità che andava messa in discussione dallo stesso filosofo. Tutte le certezze secondo Nietzsche che stavano alla base della civiltà occidentale e dalla razionalità del Positivismo nascevano dalla repressione della dimensione istintuale consolidatasi nel tempo nella morale comune che portava però alla negazione dell'aspetto vitale dell'uomo.
La filosofia di Nietzsche è portata a distruggere queste credenze, partendo dall'analisi del proibito, dell'aspetto istintuale degli uomini per arrivare all'accettazione dell'irrazionalità della vita, dalla quale scaturisce l'amore per essa.
Quest'accettazione della vita nel suo aspetto crudele, doloroso e irrazionale oltre che gioioso è sorta nel pensiero nietzscheano in seguito all'influenza esercitata su di lui da Schopenhauer. Fu proprio di fronte al pessimismo schopenhaneriano, secondo cui l'uomo non trova risposta al suo continuo soffrire in un modo retto da un principio irrazionale, che Nietzsche trova rimedio alla sofferenza umana attraverso l'accettazione della vita in tutta la sua bellezza, ma anche nel suo lato più disordinato e torbido. Quest'accettazione della vita può avvenire solo attraverso il recupero della dimensione istintuale degli uomini che Nietzsche avvia con la sua opera. "La nascita della tragedia" (1871) dove egli porta avanti una vera e propria analisi della tragedia greca, considerata da lui la massima espressione artistica e culturale perché momento di incontro del duplice aspetto dello Spirito Greco, l'Apollineo e il Dionisiaco. Apollo rappresenta l'armonia, l'ordine, l'equilibrio e la bellezza; Dionisio la vitalità, il desiderio di vivere, il caos. Apollo è lo spirito che si rassegna e accetta la vita racchiudendola in forme stabili e armoniche come è avvenuto nella civiltà occidentale, Dionisio è lo spirito che fa esperienza del caos, che liberandosi dalle barriere culturali afferma ed esalta la vita, come il lato istintuale e vitale dell'uomo finora represso dai valori morali. L'emergere della civiltà occidentale ha avuto inizio quando Socrate pose fine alla tragedia negando lo Spirito Dionisiaco, e recidendo quindi le radici vitali dell'uomo, dando vita alla menzogna dei valori morali e alla decadenza. La morale di questa civiltà risulta infatti una falsità, in quanto nata non dalla "voce della coscienza", ma dalle autorità sociali, dall'assoggettamento dell'uomo alle direttive fissate dagli esponenti delle élites dominanti. Questa morale ebbe origine al momento in cui la morale degli schiavi improntata sui valori anti-vitali, di sacrificio di sé e di abnegazione, ebbe il sopravvento sulla morale dei signori, espressione di vitalità, forza, e fierezza. La morale quindi nacque dal risentimento e dall'invidia degli schiavi, dei più deboli, degli impotenti per i signori, i più forti, gli uomini potenti, ai quali i primi imposero le loro limitazioni quali per esempio l'incapacità di vivere come delle regole o principi morali a cui attenersi. Alla critica della morale e alla trasvalutazione dei suoi valori, Nietzsche affianca la critica dello storicismo, accusa infatti la cultura occidentale di estremo storicismo, fondato su una concezione lineare del tempo.
Questa interpretazione dell'esistenza umana si muove sulla base del prima e del poi, ossia su continui riferimenti al passato, che l'uomo in virtù di una sorta di meta, di scopo, proietta nel futuro, senza mai vivere nel presente, reprimendo quindi e negando ancora una volta il suo principio di vitalità. In realtà Nietzsche proponeva una nuova chiave di lettura del mondo: la scienza. La scienza come lui la intendeva però, si distaccava parecchio da quella tradizionale che pretendeva di racchiudere in leggi e principi oggettivi la razionalità e l'ordine, inesistenti, peraltro, del mondo. La sua scienza è infatti analisi critica, esercizio del dubbio, diffidenza metodica. Portavoce di questa nuova visione della scienza è lo Spirito libero che assume un atteggiamento scettico e coraggioso, pronto per la valorizzazione di grandi progetti e l'esaltazione della grandezza dell'esistenza. Lo Spirito libero è colui che con coraggio fa della vita un continuo esperimento, che non si china dietro dei valori prestabiliti, ma creandoli egli stesso dà inizio ad un'esistenza libera e felice.
La critica mossa da Nietzsche alla cultura occidentale porta ad un vero e proprio crollo dei fondamenti che avevano finora costituito i pilastri del sapere umano, causando nell'uomo una sensazione angosciosa che approda prima al Nichilismo assoluto e che arriva al momento culminante con l'annuncio della morte di Dio.
Col Nichilismo l'uomo perde tutte le certezze finora possedute e sente quindi di essere circondato dal Nulla, perde la speranza di una dimensione sovrumana, di un mondo ideale contrapposto a quello terrestre, dove avrebbe ritrovato la razionalità e l'ordine.
Il Nichilismo e la morte di Dio contrassegnano tuttavia la possibilità di una nuova esistenza non più rispettosa e passiva di fronte ai principi della civiltà occidentale, ma attiva, pronta a riscoprire il lato vitale a lungo represso. Il Nichilismo infatti mostra due aspetti, quello passivo tipico di coloro che riconoscono l'insensatezza del mondo e vivono un sentimento di perdita e di dolore, per i quali nulla ha più senso; e quello attivo, rappresentato da coloro che con coraggio saranno pronti a fare della vita un continuo esperimento, distinguendosi dalla massa e dal suo atteggiamento rinunciatario. Questo modello d'uomo viene definito Superuomo, massima realizzazione dello Spirito libero, che deve la sua superiorità alla consapevolezza che oltre alla vita sulla terra vi è solo il nulla, che dopo la morte di Dio è crollata l'illusione di un mondo ultraterreno.
La sua grandezza scaturisce da questa presa di coscienza che lo porta quindi a vivere in pieno e in armonia col presente accettando la vita anche nei suoi lati più oscuri, come " transizione e tramonto" come Nietzsche stesso afferma nel brano "La morte di Dio e il Superuomo" da "Così parlò Zarathustra": "La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto".
Strettamente legato al concetto di Superuomo vi è la volontà di potenza. Per volontà di potenza si intende il modo di essere del Superuomo, una libertà creatrice, che si erge al di sopra del caos per imporre alla vita stessa i propri valori e principi. La volontà di potenza è volontà di dominio sugli altri, ma soprattutto è volontà della stessa volontà di affermarsi. L'uomo è ora cosciente dell'inesistenza di un mondo ideale, e con la morte di Dio è arrivato alla resurrezione di se stesso, cioè padrone del proprio destino, la sua volontà libera è pronta ad emergere. Soggetto di volontà di potenza, di conseguenza, è colui che ha la forza per affermare le proprie prospettive del mondo. Realizzazione di questo progetto è appunto il Superuomo.
La figura del Superuomo è integrata nella dottrina dell'eterno ritorno in cui Nietzsche elabora una concezione ciclica del tempo che si contrappone a quella lineare tipica della tradizione ebraico-cristiana. Nietzsche stesso diceva nel brano "L'Eterno ritorno dell'uguale" da " Così parlò Zarathustra": "Tutte le cose diritte mentono ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo". La concezione lineare, caratterizzata da una meta, da una destinazione a cui arrivare, non permetteva all'uomo di vivere nel presente, ma al contrario lo portava ad affacciarsi continuamente nel passato per proiettarsi poi nel futuro. La concezione ciclica, invece, afferma che gli eventi sono destinati a ripetersi eternamente, proprio per questo vale la pena di vivere al meglio e pienamente ogni attimo del presente, come se fosse eterno.

lunedì 3 dicembre 2012

Shopenhauer

Shopenhauer
Fenomeno e noumeno.
Per Kant il fenomeno è la realtà , l’unica realtà in grado di essere conosciuta dalla mente umana; il noumeno invece, è ciò che va al di la dell’apparenza e che quindi non può essere conosciuto dall’uomo.
Per Shopenhauer invece, il fenomeno è apparenza, illusione, sogno, che egli chiama Velo di Maya ed è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza, mentre il noumeno è la realtà che si nasconde dietro il velo di Maya e che deve essere scoperto dall’uomo. La rappresentazione, ovvero il fenomeno, è costituita da soggetto e oggetto: il primo è ciò che tutto conosce senza essere conosciuto da nessuno, il secondo è ciò che viene conosciuto. Essendo le due componenti della rappresentazione, soggetto e oggetto non possono stare uno senza l’altro. Inoltre, la rappresentazione è basata su tre forme a priori: lo spazio, il tempo e la causalità. La causalità rappresenta anche l’unica categoria (in Kant erano 12) e assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera:
Divenire: necessità fisica.
Conoscere: necessità logica.
Essere: necessità matematica.
Agire: necessità morale.
La scoperta della via d’accesso alla cosa in se.
L’uomo non è solo conoscenza e rappresentazione ma è anche corpo. Per questo vede sia la propria realtà interiore che quella esteriore. In questo modo esce dal mondo fenomenico. L’esperienza interiore permette all’uomo di afferrare la cosa in se, tirando fuori la volontà di vivere, quell’impulso irrefrenabile che ci spinge ad esistere e ad agire. Più che intelletto e conoscenza, l’uomo è vita e volontà di vivere e il nostro stesso corpo, è la manifestazione esteriore dei nostri desideri interiori. Tutti gli esseri viventi sono spinti dalla volontà di vivere, anche se in gradi di consapevolezza diversi: negli organismi più semplici questa volontà appare in modo inconscio, mentre l’uomo ne è pienamente consapevole.
La volontà è:
Inconscia, quindi un impulso inconsapevole.
Unica, al di la del principio di individuazione.
Eterna, indistruttibile, va al di la del tempo.
Incausata, libera, che non ha un perchè.
Senza scopo.
Gli uomini hanno cercato di mascherare la terribile verità di una vita senza scopo e senza meta, postulando un Dio in cui la proprio vita avrebbe un senso. Ma secondo Shopenhauer, un Dio non può esistere, l’unico Assoluto è la Volontà stessa. La volontà di vivere si distingue, inoltre, in due fasi:
Le idee, un sistema di forme immutabili, aspaziali e atemporali.
Le cose, ovvero le stesse idee inserite nei vari individui del mondo naturale.

Il pessimismo
La vita dell’uomo, per Shopenhauer, è come un pendolo che oscilla sempre tra il dolore e la noia, attraversando un breve e fugace intervallo illusorio, quello della gioia. Volere significa desiderare, e desiderando qualcosa ci si ritrova in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere ma non si ha. E siccome nell’uomo la volontà è più cosciente, il dolore è più forte nell’uomo rispetto agli altri esseri. Il momento di appagamento dura pochissimo, perchè subito subentra un altro desiderio da appagare. Ciò che l’uomo chiama godimento o gioia non è altro che una temporanea cessazione di dolore. Perchè ci sia piacere c’è bisogno di un precedente dolore, mentre il dolore non è mai preceduto da un piacere. La noia è quello stato dell’anima che subentra quando non abbiamo un desiderio da appagare. Il dolore non riguarda solo l’uomo. L’uomo soffre di più rispetto alle altre creature solo perchè è più consapevole della propria volontà di vivere. Al di la di tutte le meraviglie del mondo, in realtà è nascosta la lotta e la sofferenza di tutte le cose. Per questo, con Shopenhauer si parla di pessimismo cosmico.
L’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza
L’amore viene visto esclusivamente come uno strumento per continuare la vita della specie, quindi il suo unico scopo è l’accoppiamento. Per questo l’amore procreativo viene inconsapevolmente visto come “peccato”, questo perchè due infelicità che si incontrano danno vita ad una terza infelicità . L’amore vero, quindi, non viene visto come eros ma come pietà .
Le vie di liberazione dal dolore
Shopenhauer rifiuta e condanna il suicidio perchè esso non è la negazione della volontà di vivere, anzi, è una sua affermazione, in quanto il suicida vuole la vita ma è malcontento delle sue condizioni di vita, e inoltre non è efficace perchè sopprime solo l’individuo lasciando intatta la cosa in se. Shopenhauer propone, così, tre tappe fondamentali per la liberazione della stessa volontà di vivere.

L’arte
L’arte, essendo conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, fa contemplare al soggetto gli aspetti universali della realtà. Con essa l’uomo si purifica, contemplando la vita al di sopra della volontà , del dolore e del tempo. Anche la musica fa parte dell’arte, ma viene considerata l’arte più profonda ed universale. Ogni arte, quindi, è liberatrice perchè provoca la cessazione di un bisogno; ma è pur sempre una liberazione temporanea e parziale, quasi come un breve incantesimo.
La morale
La morale implica un impegno a favore del prossimo. L’etica, quindi, è un tentativo di superare l’egoismo e di superare quella lotta continua tra gli uomini che provoca dolore che sgorga dalla pietà . La piet è un sentimento che ci permette di avvertire le sofferenze degli altri e sentirle nostre, quindi nasce dalle nostre esperienze. La morale si concretizza, infine, nella giustizia e nella carità. La giustizia ha un carattere negativo poichè consiste nel non fare il male. La carità, invece, consiste nel voler fare del bene al prossimo. Si distingue dall’eros, che è un falso amore, mentre la carità è un vero amore.
L’ascesi
L’ascesi nasce dall’orrore dell’uomo e ha il compito di estirpare la propria volontà di vivere. Rappresenta l’unica vera tecnica in grado di liberare l’uomo dalla volontà di vivere. La coscienza del dolore rende l’uomo libero da esso e lo fa entrare in uno stato di grazia. Nel Cristianesimo l’ascesi termina con l’estasi; in Shopenhauer (ateo) termina con il nirvana buddista. Il nirvana rappresenta il nulla, che è diverso dal niente, in quanto è una negazione del mondo stesso, un oceano di pace, uno spazio luminoso di serenità .